"IL RIFORMISTA" RICOMINCIA: IL GIUSTIZIALISMO, IL PARTITO DEI GIUDICI, IL GIROTONDISMO, GIOVANNI D'ARCO...

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INES TABUSSO
00sabato 6 ottobre 2007 16:12


IL RIFORMISTA
06/10/2007
Il partito dei giudici bussa a palazzo Chigi
Stefano Cappellini

Mancava solo il partito dei giudici che torna in tv. Il gip Clementina Forleo
e il pm Luigi De Magistris ad Annozero non sono ancora il pool di Milano che
nel luglio 1994, per bocca del futuro ministro dell’Unione Tonino Di Pietro,
bocciava a reti unificate il cosiddetto “decreto salvaladri” del Guardasigilli
berlusconiano Alfredo Biondi. Ma il remake prende sempre più forma. La
differenza è che sono molti gli attori allora bene in parte, specie a sinistra,
che stentano oggi a ritrovare un ruolo.
Un caso a sé è Romano Prodi. Ieri il premier ha commentato con durezza lo show
giudiziario santoriano: «Mi sembra che non vi si possa riscontrare nulla della
serietà, della professionalità e dell’appropriatezza che dovrebbe avere una
trasmissione che riguarda la giustizia». Il premier si sente doppiamente sotto
scacco. La prima, per essere formalmente indagato proprio da De Magistris -
alla fine l’avviso di garanzia da Catanzaro è arrivato, sebbene molti giorni
dopo il suo annuncio per via mediatica - situazione che costringe il Prof a
muoversi con cautela e ad astenersi da commenti diretti sulla vicenda. «Non
posso vestire i panni del Berlusconi», spiega in queste ore il capo del
governo. Il quale è in ulteriore imbarazzo perché ritiene che dietro il ritorno
del partito dei giudici ci sia una insofferenza popolare motivata e in buona
fede. Il Prof si dice molto colpito dalla «mobilitazione spontanea e popolare»
in Calabria e Basilicata, al tempo stesso ritiene più che fondate le obiezioni
sui metodi di lavoro di certi pm e sulle loro finalità. «Se è vero ciò che
hanno scritto alcuni quotidiani a proposito della raccolta illegale di dati -
commentano fonti a lui vicine - siamo davanti a una situazione inquietante».
Quanto sia difficile tenere fermi i confini dello Stato di diritto e dei
rapporti politica-giustizia senza finire nel mirino del girotondismo
giudiziario, Prodi lo ha sperimentato in tempo reale ieri, quando la casella
mail di palazzo Chigi è stata inondata di critiche e insulti per il suo
commento ad Annozero. Il popolo dei fax ha cambiato medium. E Prodi ha un nuovo
problema: per il governo chinare la testa davanti ai giudici che accusano la
politica e promettono «riscossa morale» (la citazione è da Francesco Storace)
significa abdicare. D’altra parte, reagire come ha fatto ieri Prodi e
ritrovarsi travolti dall’antipolitica è tutt’uno. «Alle volte bisogna sfidare l’
impopolarità e fare la parte del sergente Garcia», dice il portavoce Silvio
Sircana giustificando con citazione pop l’intervento del Prof. «E non è detto -
aggiunge Sircana - che Garcia non abbia ragione, alle volte». Mastella,
incassata la solidarietà del premier, ha ricambiato giurando lealtà ed evocando
complotti: «Caro presidente, colpiscono me, ma vogliono fregare te».
Chi colpisce duro è senz’altro Di Pietro. «Con i giudici senza se e senza ma»,
ha tagliato corto ieri l’ex pm. Ma le preoccupazioni di palazzo Chigi sulla
stabilità dell’esecutivo non vengono tanto dai continui proclami del ministro
delle Infrastrutture, isolato nella coalizione (anche Franco Marini e Oliviero
Diliberto hanno scelto di difendere il Guardasigilli), quanto dalle conseguenze
elettorali del clima giustizialista. Un clima cui nessuno vuole o riesce a
opporsi con efficacia. Più imbarazzato ancora del Prof è il neonato Pd, in
particolare la sua componente ds. La vicenda Unipol ha rotto definitivamente un
annoso patto di non aggressione tra il partito della Quercia e quello dei
giudici, come certificato dalla reazione di D’Alema alle accuse formulate da
Forleo contro i vertici ds. Ma resta un legame di fondo, cementato da un’
opinione pubblica sinistrorsa per anni educata a guardare con favore un certo
protagonismo togato. Non è un caso se l’unica voce apertamente critica verso la
performance catodica dei giudici è quella di un ex, Gavino Angius: «Il
magistrato che si sente intimidito, deve difendere la propria autonomia al Csm,
non in tv» (dichiarazione doppiata in area socialista da quella di Enrico
Boselli: «I giudici non devono parlare attraverso la tv, ma con le sentenze»).
I vertici della Quercia, invece, per ora girano al largo dalla questione. E il
futuro leader del Pd Walter Veltroni commenta il caso Annozero solo per
dividere equamente torti e ragioni: «Sono saltati i ruoli, la politica invade
campi che non sono suoi e viceversa. In altri paesi i confini sono chiari e
definiti». Un colpo di qua, uno di là. Per non rischiare, alla vigilia delle
primarie, di urtare quanti, schierati col centrosinistra, si sono esaltati per
i furori di Forleo: «Il giudice è solo quando ha il coraggio di denudare il
re». «Le gente mi è vicina», ha chiosato De Magistris, chissà se memore del
collega Camillo Davigo che in piena Tangentopoli spiegava così la necessità
della carcerazione preventiva: «Sennò la gente si incazza». A Prodi e Veltroni,
se anche non la ricordavano, la citazione deve esser tornata in mente.




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IL RIFORMISTA
06/10/2007
Deciderà il Csm non la televisione
Riccardo Arena

Venerdì, 21 settembre. Ore 18.54, un’agenzia di stampa diffonde la notizia.
«Mastella chiede il trasferimento di De Magistris e Lombardi». Inizia così una
vicenda su cui tanto si è detto e così poco si è capito. Le carte degli
ispettori inviati da Mastella non si conoscono. Sarebbe doveroso aspettare la
decisione del Csm. E invece si è fatto un gran parlare, senza conoscere i
fatti. Questo ha determinato una grande confusione e una grande difficoltà a
orientarsi in questa vicenda. Nulla infatti si capisce e assai poco,
onestamente, si sa. È bene quindi ricondurre l’ormai “caso De Magistris” nei
suoi parametri fisiologici. Nei fatti accaduti prima del 21 settembre. Nella
normalità di ciò che prevede la legge. Nel rispetto della centralità del ruolo
del Csm.
I fatti. Alla fine del 2006, il ministro della Giustizia Clemente Mastella ha
inviato gli ispettori, che sono magistrati, per verificare presunte
irregolarità all’interno della Procura di Catanzaro. I controlli, ripetuti nel
tempo, miravano a verificare, tra l’altro, la regolarità della condotta del
procuratore capo di Catanzaro Lombardi e quella del pm De Magistris. Dopo circa
cinque mesi, gli ispettori consegnano il loro rapporto, non al ministro
Mastella, ma alla Direzione generale dei magistrati del ministero della
Giustizia, diretta e composta anch’essa da magistrati. La prima valutazione
fatta da questo ufficio sul rapporto degli ispettori è strettamente tecnica e
mira a verificare se i comportamenti dei magistrati calabresi integrino o meno
illeciti disciplinari. Successivamente, il rapporto degli ispettori passa all’
ufficio di gabinetto del ministro della Giustizia. Altro ufficio e altra
valutazione, fatta sempre da magistrati. L’8 settembre 2007, le trecento pagine
della relazione degli ispettori sui magistrati di Catanzaro, con le
osservazioni della Direzione generale dei magistrati e dell’ufficio di
gabinetto del ministro, sono sul tavolo del Guardasigilli.
Due scelte per il ministro. La legge lascia due scelte. Non procedere con l’
azione disciplinare, oppure chiedere al Csm di instaurare un’azione
disciplinare contro il magistrato. In questo caso il ministro può anche
chiedere al Csm un trasferimento in via cautelativa del magistrato, in attesa
che lo stesso Csm assuma una decisione sul merito. La decisione del ministro ha
come presupposto le conclusioni degli ispettori e le valutazioni di ben due
uffici del ministero. Il 21 settembre il ministro Mastella comunica di aver
esercitato un’azione disciplinare contro De Magistris e Lombardi, chiedendo al
Csm di adottare un provvedimento cautelare di trasferimento dei due magistrati.
L’8 ottobre, dinanzi alla prima commissione del Csm, inizia (forse) la
discussione sulle richieste del ministro Mastella. Al termine del procedimento
la decisione.
Nessuna decisione. Morale: da quindici giorni mezza Italia si sta stracciando
le vesti sul caso De Magistris, senza che nulla sia stato ancora deciso. Si
discute come se la decisione sul caso sia stata già presa. Ma non dal Csm, come
prevede la legge, bensì nelle piazze, sui giornali e in tv. Soprattutto per i
media tutto appare già deciso. Ritengo questo sbagliato e ingiusto.
Sbagliato perché il Csm non si è ancora pronunciato né ha ancora iniziato il
procedimento. Un procedimento che garantisce accusa e accusati, che possono
argomentare e documentare le loro ragioni. Al termine dell’istruttoria, la
decisione. Ingiusto perché una tale propaganda lede sia le prerogative e il
ruolo del Csm, sia, cosa che a molti sfugge, lede le garanzie di De Magistris.
Per lui, come per qualsiasi altro magistrato, non vi è migliore garanzia, per
veder riconosciute le proprie ragioni, che essere giudicato da un Csm autonomo
e libero da qualsiasi condizionamento.
Il Csm. Organo di autogoverno della magistratura. Organo costituzionale,
composto per due terzi da magistrati e presieduto dal presidente della
Repubblica. Organo che assicura l’autonomia della magistratura, che la
garantisce da ingerenze politiche. Ora, siamo sicuri che questa pressione
mediatica sul caso De Magistris non avrà ricadute sulla decisione del Csm?
Siamo sicuri che il Csm prenderà una decisione giuridica e non politica? Io non
dubito dell’autonomia di giudizio dei consiglieri del Csm. Ma sono certo che
una pressione del genere è del tutto illegittima.
Schierarsi. Non schierarsi a favore di De Magistris o di Mastella. Ma
schierarsi a favore del Consiglio superiore della magistratura. È necessario
difendere le prerogative e il ruolo di quest’organo. Riaffermare, con decisione
e con rigore, la sua centralità. Difendere il suo corretto funzionamento. E
anche criticare, ma dopo averle lette, le sue decisioni nell’interesse della
Giustizia.
Ora è attesa. Attesa per una decisione che sia giusta e celere. Senza rinvii.
Ne ha bisogno la Calabria e la nostra malandata Giustizia.




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06/10/2007 - "IL RIFORMISTA", Pag. 1
UN GIOVANNI D'ARCO CON TUTA IGNIFUGA
di: TOMMASO LABATE

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