GIOVANNI SARTORI: LE TRAPPOLE DEL RIVOTISMO

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INES TABUSSO
00venerdì 6 gennaio 2006 02:05

CORRIERE DELLA SERA
5 gennaio 2006
La medicina elettorale può essere inefficace
LE TRAPPOLE DEL RIVOTISMO
di GIOVANNI SARTORI

A quanto pare voteremo per la nuova legislatura il 9 aprile. Senza elezioni (libere e periodiche) non c’è democrazia. Il che non vuol dire che le elezioni facciano bene al governare democratico, all’economia, o ad altro. Le elezioni sono il momento demagogico della democrazia. Sono necessarie, ma non è detto che siano benefiche. Invece la riforma della Costituzione varata dal governo Berlusconi prospetta elezioni a grandine, e cioè ad ogni crisi di governo. Il governo casca? Si deve rivotare. Il governo non funziona con la maggioranza della quale dispone? Bene, torniamo alle urne. La nuova grande medicina è il rivotismo , il tornare a votare. Ai rivotisti (per così dirli) non viene nemmeno il sospetto che il nuovo voto possa ripetere quello precedente. Eppure è spesso così. Inghilterra, Stati Uniti, Svezia e parecchie altre democrazie impeccabili hanno avuto lunghi periodi senza alternanza, e cioè senza cambiamento di maggioranza. E in tal caso la medicina del rivotare è, tanto per cominciare, inutile: un grosso e costoso sforzo per nulla. Ma, aggiungo, è peggio che inutile: è nociva. Il troppo votare stanca gli elettori, li stufa, e li allontana dalla politica; e per di più incentiva il malgovernare, il governare demagogico. Il periodo di buon governo dei sistemi democratici è subito dopo elezioni avvenute; il loro momento di peggiore governo è sotto elezioni. Perché sotto elezioni l’ossessione diventa di «comprar voti» e il terrore diventa di perderli.
Tutti chiediamo che i partiti o le loro coalizioni dichiarino i loro programmi. Certo, i programmi ci devono essere. Ci mancherebbe. Ma finché eravamo smaliziati sapevamo che i programmi elettorali sono in primis promesse acchiappavoti da leggere come tali. Però una nuova generazione di bambinoni (bambinoni in politica, beninteso) li legge come se fossero o dovessero essere un contratto stipulato dal notaio.
Il punto è che le promesse elettorali devono scaldare speranze, e alla stessa stregua ignorare i problemi dei quali ci dovremmo davvero occupare e preoccupare. Ne richiamo qui, per brevità, soltanto tre: la mafia, il lassismo della pubblica amministrazione e la disapplicazione della legge.
Primo: la mafia. Avete mai sentito parlare, durante il lunghissimo (evviva, evviva) governo Berlusconi, della mafia? Per combatterla e sul come combatterla, mai. Semmai e piuttosto alla mafia si offre, in cambio del voto, la «faraonica» pappatoia del ponte di Messina. Perché il voto mafioso può essere determinante da Napoli in giù. Anche per le sinistre, che difatti sorvolano.
Secondo: il lassismo amministrativo. Quanto si lavora nei nostri grandi ministeri? Lì il «fuori stanza» è normale. C’è chi esce a fare la spesa, chi per conversare al bar, e chi proprio non c’è. Eppure nessuno vede, nessuno fiata, nessuno rimedia. Una burocrazia incattivita ti vota contro. Perciò non va toccata.
Terzo: il diritto disatteso. In Italia la viabilità e i trasporti vengono continuamente interrotti, lo sciopero dei servizi pubblici è endemico. Ma se la polizia interviene (rarissimamente) è «violenza». A dispetto della legge (violata) bisogna sempre e soltanto «dialogare». E se Cofferati a Bologna applica la legge parecchi dei suoi e il buonismo cattolico insorgono.
Il Paese gradualmente affonda sotto il peso di queste (e altre) palle al piede. Capisco che non vengano evidenziate nei programmi elettorali. Ma il buon governante non le deve dimenticare per questo. A meno che non sia anche lui travolto dalla frenesia del rivotismo .
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