I SEGRETI DEL SUPERPERITO HI-TECH

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INES TABUSSO
00martedì 30 ottobre 2007 23:45
IL SOLE 24 ORE
28/10/2007
I SEGRETI DEL SUPERPERITO HI-TECH

Dietro le quinte di «Why Not»
Chi è Gioacchino Genchi, da 20 anni consulente delle Procure di mezza Italia
Grazie agli incarichi svolti, dispone di una enorme quantità di dati sensibili

PRO E CONTRO
«Mascalzone» per Mastella, querelato dall'ex procuratore di Catanzaro Lombardi, ma considerato il migliore da molti Pm

di Lionello Mancini

«Io il burattinaio di Why not? il manipolatore di dati? l'anima nera di De Magistris? Ma via... Sono solo un modesto consulente tecnico» così sembra schermirsi Gioacchino Genchi, 47 anni, da Castelbuono (Pa), poliziotto in aspettativa non retribuita da anni, due matrimoni, tre figli, una mente veloce «al servizio esclusivo della Giustizia »; un Crociato restio a ogni mediazione, folgorato dalla Verità processuale dei tabulati telefonici e di ogni altra traccia digitale. «Mi attribuiscono grandi poteri – prosegue –e invece mi considero solo la somma di tre mediocrità: sono un mediocre avvocato, un mediocre poliziotto, un mediocre informatico. Se il voto massimo è 10, mi dò 5 in tutti questi campi. Ma – conclude sornione – la somma dà 15, che è molto più di 10...».
Non alto, rotondetto, i pochi capelli castano chiari arruffati, informale nell'abbigliamento, gli occhi chiari mobili e attenti, parlantina fluviale: eccolo l'uomo che Clemente Mastella definisce «mascalzone», additandolo come artefice, raccoglitore indefesso e propalatore di notizie false o di mezze verità mirate; il consulente informatico che l'ex Procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi (già capo di Luigi De Magistris), ha pluriquerelato per calunnia; il poliziotto temuto da molti, amato da qualcuno, ma che nessuno sottovaluta.
Parlare con lui è difficile, ma parlare di lui lo è ancora di più: i magistrati, poliziotti, carabinieri interpellati dal Sole-24 Ore hanno tutti chiesto di non essere citati, non vogliono rogne con l'uomo dei computer.
Genchi è da quasi 20 anni il consulente informatico-telefonico più gettonato dalle Procure d'Italia. «Perché è il migliore, il più attrezzato, ha in testa un archivio e le sue elaborazioni non le fa nessun altro» dicono i suoi sostenitori, tra cui diversi Pubblici ministeri attivi al Sud. Ed è vero, i risultati si sono visti, portano il nome di catture importanti come quelle del pentito Totuccio Contorno o del boss Pietro Vernengo.
Precisione maniacale, grande capacità di lavoro, aggiornamento costante sono le altre caratteristiche che hanno convinto decine di magistrati ad avvalersi di lui, già quando era ancora operativo come poliziotto. Dai vari uffici giudiziari di Sicilia e Calabria, dalla Campania a Roma, da Firenze a Milano, Genchi è stato consulente in processi di mafia, rapine, omicidi, sequestri, casi clamorosi come quella della piccola Denise Pipitone scomparsa a Mazara del Vallo o il suicidio del magistrato Luigi Lombardini a Cagliari (Genchi era lì come consulente di Giancarlo Caselli), per finire con la strage di Via D'amelio e il processo al Governatore Salvatore Cuffaro.
Una singolare e ormai abnorme (questo unisce estimatori e critici) raccolta di dati sensibili fornitigli dall'Autorità giudiziaria, che ha accresciuto il valore del suo potenziale di elaborazione e i rischi connessi alla stessa accumulazione. Nella filosofia del poliziotto in aspettativa sindacale dal 2000, c'è la scomposizione di un fatto in tanti minuscoli frammenti – intercettazioni, tabulati di traffico telefonico, scie di telepass, carte di credito, bancomat, centraline elettroniche di auto, incrociabili con immagini, mappe interattive, storie sanitarie, tracce biologiche ecc. –frammenti poi ricomposti in perizie anche di 600 pagine, comunque sempre corpose, illustrative del punto di vista del consulente e dense di suoi commenti. Una fotografia di verità secondo lui incontestabile; elucubrazioni di un megalomane per i suoi detrattori. «Di certo un peferzionista – dice un Pm palermitano estimatore e amico di Genchi – che però fatica a stringere sulle risposte. Infatti la nostra Procura ormai ha diradato le sue richieste perché le conclusioni tardano troppo. Anche se lui dice che la colpa è dei gestori, lenti nel passargli i dati richiesti».
Ciò che più allarma gli osservatori, resta la mole di dati immagazzinata in un ventennio di superconsulenze. Una quantità e una qualità tali che nessun altro soggetto –gestori telefonici, uffici giudiziari, avvocati, nemmeno la Pg – possiede. «Ma cosa se ne fa? – si chiedono un po' tutti – e cosa potrebbe farne?». Genchi non nega affatto di aver trattato milioni di dati, come è previsto dalla legge che possa conservare copia delle relazioni scritte, ma ribadisce e dimostra la tracciabilità di ogni suo intervento in rete, nega che tutti questi dati siano incrociabili, nega che esista la possibilità stivare tutta questa massa di bit, nega di aver alcun interesse a piegare la realtà alle sue teorie: «Quello che io dimostro può servire all'accusa come alla difesa –ripete salomonico –. Però gli attacchi di questi giorni dispiacciono a un uomo delle istituzioni come me. Il signor ministro Mastella, di cui ho grande rispetto, farebbe bene a calmarsi, se non vuol rischiare di farsi male». Ecco, Genchi è così: sicilianamente allude, s'inchina e poi parte la stoccata». Più o meno scherzosa.
Nel suo ufficio bunker di Piazza Principe di Camporeale (500 metri quadrati, più abitazione all'attico, nel palazzo in vetrocemento confiscato alla famiglia mafiosa dei Ganci) si entra solo se si conosce la combinazione della serratura e se quella conosce la tua impronta digitale. Lo stesso vale per accedere ai dati stivati in server dai nomi di politici (Fassino, Ciampi, ovviamente Mastella): password, chiavetta, impronta. Tutto quanto non è digitale è accatastato in una confusione comprensibile solo da chi ci lavora: server, schermi, tabulati, i cellulari degli assassini di Capaci, il Toshiba portatile di Giovanni Falcone, aperto e analizzato da Genchi dopo la morte, come la sua agenda elettronica.
Un capitolo controverso nella biografia del superesperto è proprio quello legato a Falcone e Borsellino, all'attività del pool di Palermo, alle indagini su Capaci e via D'Amelio. Attestato il solito «rispetto alla figura di Falcone» Genchi è tranchant: «Io ho del dovere di indagine un'idea completamente diversa dalla sua. Falcone ha sbagliato a fidarsi di chi lavorava con lui: Contorno doveva essere condannato per quasi 20 omicidi e tutte le sue armi sequestrate, ma questo non è accaduto». Il Crociato Genchi tiene molto ai suoi punti di vista, costi quel che costi.
Il "pentito" Totuccio Contorno venne arrestato in Sicilia nel 1989, mentre doveva essere sotto protezione negli Usa. Alcune lettere anonime (quelle del "Corvo") affermavano che con alcuni magistrati palermitani, Falcone in primis, avevano usato Contorno come killer di Stato. «Ritengo che Falcone possa essere stato tenuto all'oscuro – dice – ma anche che sia sceso a patti con quanti avevano permesso se non organizzato quella cosa». Ecco perché, nel 2000, Genchi invia a Gianni De Gennaro appena diventato capo della Polizia, una cartolina illustrata di San Nicola l'Arena: l'arresto di Contorno avvenne proprio in quella località anche grazie all'intercettazione di una cabina telefonica, realizzata dall'allora vicecommissario aggiunto di Polizia dr. Gioacchino Genchi. Come a dire: complimenti, ma io non dimentico...
Tra i suoi compagni di corso superiore per funzionari di Polizia, nel lontano 1985, c'è chi ricorda il soprannome di «Licio Genchi», allusivo della capacità di relazioni del giovane poliziotto, «che con ciò suppliva ad altre carenze di contenuto» o ad alcune defaiances fisiche («impossibile per me arrampicare una fune o una pertica» conferma lui stesso). In tanti ipotizzano anche suoi rapporti con i Servizi, fino a raccontare di un tentativo di entrare nel Sisde, stoppato da un falso dossier costruito ad arte e fatto circolare per tagliargli le gambe. Come ogni Crociato, il superoconsulente da Castelbuono muove da principi altissimi in nome dei quali è pronto a sfide altrettanto grandiose. La magistratura, diciamolo, non aiuta l'uomo a trovare la misura. Dopo le scintille calabresi, la Procura di Salerno (competente per territorio) indaga sulla fuga di notizie catanzaresi: chi sarà stato? De Magistris? l'ex Procuratore Lombardi? la Polizia giudiziaria? L'unico fatto finora certo è che il perito di cui dal 30 luglio si avvale Salerno è lo stesso Genchi, sempre più fiero «della fiducia ancora una volta dimostrata» e perfettamente convinto di aver già smascherato il colpevole.
lionello.mancini@ilsole24ore.com




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RETTIFICA

Al direttore de “Il Sole 24 ore”
Ferruccio de Bortoli

Gentile direttore,
prescindo, per il momento, dall’approfondire le ragioni che hanno portato il redattore del suo giornale a contattarmi.
Non conoscevo, né avevo mai sentito parlare del giornalista Lionello Mancini, prima di ricevere una sua e-mail di presentazione, con l’intestazione del suo giornale.
Non contesto in nessun modo la libertà di pensiero e di espressione di chicchessia, né tanto meno del redattore del giornale da lei diretto.

Mi sia però consentito di rettificare il contenuto di alcune false dichiarazioni che mi vengono attribuite, nell’articolo pubblicato oggi (28-10-2007) dal suo giornale, col titolo “I segreti del superperito hi-tech”.
Tralascio molte inesattezze e palesi incongruenze riportate nell’articolo e vado al sodo. Mi riferisco alle parti che attengono ad alcune mie presunte dichiarazioni, in realtà mai rilasciate.

Rispondendo alle domande del giornalista Mancini sulla vicenda Contorno, ho detto cosa del tutto opposta a quanto riportato nell’articolo, precisando che mai avrei potuto nutrire alcun sospetto sul dr. Gianni De Gennaro, per la fiducia che Falcone gli aveva accreditato, anche dopo l’arresto del “pentito”.
Non ho mai detto, né tanto meno pensato, che Falcone “sia sceso a patti” con chicchessia, posto che il senso della dichiarazione è peraltro in palese contraddizione con la premessa, attribuitami pure in modo distorto, nel virgolettato.

Mi sono per il resto note le iniziative giudiziarie di Falcone dopo l’arresto di Contorno e la profonda amarezza che egli ha espresso nei suoi scritti, proprio sul conto dell’ex pentito.
Avrà pure memoria che Totuccio Contorno, ed i suoi sodali, sono stati arrestati grazie ad una brillante operazione degli uomini della Polizia di Stato e non certo ad opera dei vigili urbani di San Nicola l’Arena.
Su questa vicenda sono stati svolti dei processi e scritti e versati fiumi di inchiostro.
Ognuno può conservare le riserve che vuole ed al contempo esprimere ogni perplessità, sempre nel rispetto della verità e della dignità dei morti, che peraltro non avrebbero la possibilità di replicare.

Non voglio pensare ad una trappola, se non altro per la serietà che caratterizza la testata, a nome della quale il giornalista mi si è presentato.
Gli avevo però inviato un dettagliato curriculum, in cui la vicenda è chiaramente raccontata e al contempo circoscritta.
Quanto, poi, alla ulteriore domanda su quali fossero i miei rapporti col dr. Gianni De Gennaro, ho precisato che gli avevo persino mandato un biglietto di auguri, quando è stato nominato Capo della Polizia.

La domanda e la risposta vertevano sulle false notizie giornalistiche, secondo cui io avrei acquisito e sviluppato i tabulati telefonici del Prefetto Gianni De Gennaro (di cui non conosco, né ho mai conosciuto le utenze telefoniche), del Ministro dell’Interno Amato, del Presidente del Senato Marini e di decine e decine di alte cariche dello Stato, fra cui alcuni magistrati, con i quali – vedi caso - sto pure lavorando, in delicati e molto riservati procedimenti penali.

L’esigenza di chiarezza era ed è assolutamente pressante, specie dopo la sequela di notizie giornalistiche - appartenenti a ben identificati organi di stampa, ben diversi dal suo - con le quali si è cercato di delegittimare il mio operato di consulente dell’Autorità Giudiziaria, nei procedimenti in cui sono stato nominato.
Questa è stata una delle ragioni per le quali ho accettato di incontrare il giornalista Mancini.

Mai ho presentato istanza alcuna per l’ammissione al SISDE o ad altro servizio segreto.
Non ho nemmeno presentato istanza alcuna, per le progressioni di carriera in Polizia.
Le mie uniche istanze riguardano il concorso nella Polizia di Stato del 1985, che ho superato; la domanda di aspettativa (non retribuita) del giugno del 2000 e l’iscrizione a Slow Food, di qualche anno addietro.
Le ulteriori gratuite considerazioni riportate nell’articolo, sul “capitolo controverso” della mia biografia, con riguardo alle indagini sulle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, negano la evidenza della storia giudiziaria di questo Stato, che testimonia la correttezza del mio operato.

Queste non sono mie dichiarazioni, né ancor meno mie valutazioni, ma attengo a quanto riportato a chiare lettere nelle sentenze dei giudici di merito sulle stragi del “92”, che hanno pure superato il vaglio della Suprema Corte di Cassazione, persino con la condanna all’ergastolo di imputati assolti nel primo grado di giudizio.
Proprio nelle motivazioni di quelle sentenze è detta e ribadita la correttezza e la determinanza del mio contributo processuale, anche con riguardo ai tentativi di delegittimazione, che allora come oggi sono costretto a subire.

In una fase così difficile del mio percorso professionale, continuare a cercare di mettermi contro qualificate istituzioni e personalità dello Stato, nei confronti delle quali nutro profondo rispetto, oltre che stima personale, concorre con la sequela di artate disinformazioni, che mi auguro non abbiano animato il suo redattore, quando ha deciso di contattarmi, per scrivere l’articolo che ha poi pubblicato.

Concludo precisando di non avere rilasciato alcuna considerazione sull’operato del Ministro Mastella. Di non averlo mai nominato con l’appellativo di “Signore” e di essermi limitato a considerare che stava solo sbagliando, a reagire nel modo in cui ha reagito, considerando l’apporto professionale che avevo dato all’inchiesta di Catanzaro.

Sul punto ho anche fornito al redattore del suo giornale un testo scritto, del quale non ha tenuto conto in nessun modo, nella redazione dell’articolo.
Non mi ha nemmeno inviato copia di quanto intendeva pubblicare, come mi aveva assicurato prima di congedarsi.
Nessuno – per quanto mi risulta - ha mai parlato di me definendomi “Licio Genchi”, eccetto il Ministro Mastella, in una conferenza stampa, tenuta all’indomani della trasmissione di “Anno Zero”, in cui il giornalista Marco Travaglio lo aveva assimilato al “maestro venerabile”.

Quando poi il suo redattore mi ha chiesto delle repliche sulle dichiarazioni rese sul mio conto del Procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi, ho solo precisato che non potevo replicare ad un indagato, in un procedimento nel quale - come è noto - sto svolgendo un incarico di consulenza, per conto della Procura della Repubblica di Salerno.
Le domande e le richieste di precisazioni hanno riguardato - nella specie - i contenuti di una serie di articoli di stampa sulle vicende di Catanzaro, con la diffusione integrale dei contenuti delle mie relazioni di consulenza, sul quotidiano “Calabria Ora”.

Le ulteriori allusioni sui nomi dei miei pc (Ciampi, Fassino, Mastella, Ficarra, Picone, Litizzetto, Franco, Ciccio, Verdone, Benigni, ecc.) – attengono agli aspetti di una ironia che il suo redattore non ha voluto cogliere, e se l’ha colta l’ha integralmente travisata nel testo dell’articolo, dando di me e del mio lavoro una rappresentazione assolutamente falsa e tendenzialmente distorta.

Dopo quelli che potevano essere i contingenti riferimenti a Mastella, l’avere a tutti costi tirato dentro nell’articolo persone come Ciampi, o Fassino, omettendo non a caso gli altri nomi dei pc (che non sono server), rende alla citazione un senso assolutamente falsato, sull’alone di mistero che l’articolo ha voluto suscitare, su una circostanza banale, che io stesso avevo riferito all’articolista, spiegandogli il perchè di quei nomi, che nulla hanno a che vedere con le persone e con le indagini di cui mi sono occupato e mi sto occupando.

Sulle restanti considerazioni dell’articolo, tengo a precisare che la mia attività di consulente tecnico dell’Autorità Giudiziaria – a parte le ironie - viene esercitata solo a richiesta e sotto il diretto controllo dei Magistrati e degli organi giurisdizionali dello Stato, che mi conferiscono gli incarichi.
Gli esiti della mia attività vengono integralmente estesi alle parti processuali e sui relativi contenuti si svolge la verifica dibattimentale, con le pronunce giudiziarie che, da un ventennio, hanno segnato il mio percorso personale e professionale.

Ecco perché penso che il miglior modo di considerare il mio operato, sia quello di rifarsi agli atti processuali che lo hanno valutato, più di quanto possa fare io, o quanti – spero in buone fede – travisano le mie dichiarazioni, o ancora peggio il mio pensiero.

Le chiedo pertanto di pubblicare questa mia breve nota, per onore di verità.
Penso che lei concorderà con me su questa opportunità, non foss’altro per la correttezza e la leale collaborazione, che in più occasioni ho offerto ai giornalisti della sua testata, che mi hanno contattato e che hanno redatto pagine intere, su temi scientifici assai importanti del mio lavoro.

Quegli articoli, però – a differenza di quello di oggi – hanno riscontrato solo e soltanto unanimi consensi ed apprezzamenti, nel mondo giudiziario e nelle altre testate giornalistiche, che li hanno ripresi.
Con Lionello Mancini, purtroppo, c’è stata qualche incomprensione, se vogliamo restare ottimisti.

Confido nella sua sensibilità, per cogliere gli ulteriori aspetti della vicenda, sui quali per brevità non mi soffermo.
Si renderà conto, gentile direttore, che essere censurati e se del caso anche diffamati da persone delle quali, per necessità d’ufficio, si è in qualche modo chiamati ad occuparsi, rientra nel gioco delle cose.

Tirarne in ballo delle altre – vive o morte – e contrappormele nonostante la mia volontà, il mio operato ed il mio pensiero, attiene ad un ambito della mistificazione della verità, che non appartiene alla mia storia ed ancor meno alle tradizioni del suo giornale.
Affido quindi a lei la migliore sintesi della rettifica, che la prego di pubblicare quanto prima sul suo giornale, ai sensi della legge sulla stampa.

Cordiali saluti
Palermo, 28 ottobre 2007
Gioacchino Genchi







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