ORA UNITI POI NON PIU' (SE CAMBIA IL GOVERNO)

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INES TABUSSO
00domenica 26 febbraio 2006 01:02
CORRIERE DELLA SERA
25 febbraio 2006
Ora uniti poi non più (se cambia il governo)
di GIOVANNI BIANCONI

ROMA - Seduti in prima fila, ad ascoltare la relazione d’apertura al congresso dei magistrati ci sono tutti i rappresentanti del centrosinistra. Da Clemente Mastella a Giuliano Pisapia. Del centrodestra, nessuno. Presenze e assenze che pesano. Sono assise pre-elettorali, quelle del «sindacato delle toghe», ed è normale che i giudici si rivolgano alla maggioranza che governerà il Paese nella prossima legislatura. «Qualunque essa sia», ripetono gli oratori che si alternano alla tribuna.
Ma cinque anni di centrodestra in cui i magistrati organizzati hanno combattuto e perso una lunga battaglia per contrastare «la controriforma dell’ordinamento giudiziario», anni di attacchi alla categoria e ai singoli magistrati, di «leggi che hanno solo peggiorato il servizio giustizia», non si dimenticano in fretta. E soprattutto non si possono considerare già alle spalle.
Così, se continuerà a governare lo schieramento «che ha voluto riformare i giudici anziché la giustizia» sarà difficile trovare alternative alla linea della resistenza. Una contrapposizione netta che in questi anni è stata il cemento dell’unità tra le correnti della magistratura associata: semplificando con schematismi poco graditi agli interessati ma che danno un’idea della realtà, il centrosinistra formato dal Movimento per la Giustizia e Magistratura democratica insieme al centrodestra rappresentato da Unità per la costituzione e Magistratura indipendente.
Se invece ci sarà il cambio politico, qualcosa potrebbe mutare anche negli equilibri interni alle toghe. Che potranno forse tornare a dividersi e a marcare le differenze politico-culturali - «diversità di opzioni ideali», le chiamano - che ovviamente esistono tra i 9.000 magistrati d’Italia. Si potrà tornare a parlare di riforme e di scelte, e allora quei politici seduti in prima fila diventano i naturali interlocutori dei giudici che tentano di uscire dall’assedio in cui si sono sentiti stretti nell’ultima legislatura. Politici i quali, talvolta, parlano di giustizia in maniera differente. C’è per esempio Giuliano Pisapia, di Rifondazione comunista e spesso indicato come possibile ministro Guardasigilli di un governo dell’Unione, che negli ultimi mesi ha assunto il ruolo del «riformista» rispetto alle leggi varate dal centrodestra; e c’è il diessino Massimo Brutti, che al contrario ha sempre sostenuto una più netta linea «abrogazionista» di quelle norme. A cominciare dal nuovo ordinamento giudiziario. E’ possibile che in una eventuale maggioranza di centrosinistra queste diverse posizioni assumano un peso ancora maggiore, e che nella magistratura si realizzino altrettante divisioni. Con la «sinistra giudiziaria» meno disposta di altri a fidarsi delle parole di una sinistra politica che in passato, anche quando è stata al governo, ha provocato più d’una delusione.
Questo però è il futuro. Il presente sono ancora il governo Berlusconi e la sua maggioranza. Che continuano ad avere l’effetto di radicalizzare le posizioni anche tra toghe più moderate. «Non potrò mai perdonare quello che è stato fatto nell’ultima legislatura», tuona il segretario di Magistratura Indipendente Antonio Patrono. E quello di Unicost, Marcello Matera, nella lista delle abrogazioni aggiunge alla «controriforma» dell’ordinamento le leggi sulla legittima difesa, sulla prescrizione e sull’inappellabilità. Per poi mettere in guardia dalla «pericolosa deriva del bipolarismo giudiziario». Cioè lo schema destra-sinistra in cui la sua corrente, quella che raccoglie il maggior numero di consensi tra i magistrati, non vuole rimanere imbrigliata.
Il clima pre-elettorale non riguarda solo la politica. Tra pochi mesi si voterà anche per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura, e la corsa ai consensi è già cominciata. Dopo cinque anni di assedio, nessuno può permettersi di apparire meno che deciso nella difesa dei valori di autonomia e indipendenza. Seppur rispettando il principio della separazione dei poteri che tutti giudicano sacrosanto, nessuno rinuncia a lanciare allarmi. Almeno finché gli italiani non avranno scelto una nuova maggioranza e un nuovo governo. Per adesso c’è quello di prima, e oggi al congresso si presenterà il ministro Castelli. L’uomo della «controriforma» tanto detestata, contrastata, subita. «Sarà un momento di confronto importante», annuncia il presidente dell’Anm Riviezzo. La platea annuisce silenziosa.
Giovanni Bianconi

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