QUEL GRAN PEZZO DEI DS DETTI "RIFORMISTI"

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INES TABUSSO
00venerdì 19 agosto 2005 08:13

ASSOLUTAMENTE DA NON PERDERE IL QUADRO DELLA SITUAZIONE DELINEATO DA TABUCCHI:


IL MANIFESTO
17 Agosto 2005
Il codice politico
ANTONIO TABUCCHI

L'Italia sembra stupirsi perché si dice che Berlusconi attraverso amici suoi
stia comprando il Corriere della Sera. Lui nega. Forse non è lui, è una P3,
chissà. Comunque stupisce tanto stupore, come se si trattasse di un fatto
inaudito. Berlusconi ha un conflitto d'interessi grosso come il Titanic,
possiede quasi tutta l'informazione italiana: rientra nella sua logica che
cerchi di eliminare il «quasi». Il suo sistema consiste in un regime mediatico
e di affari esteso su tutta l'Italia che serve a due scopi: diffondere il
pensiero di Berlusconi (perché Berlusconi ha un pensiero, per quanto unico
ed elementare) e aumentare in maniera faraonica le sue casseforti (in quattro
anni di governo è diventato uno degli uomini più ricchi del pianeta). Il
problema dunque non è tanto l'eventuale acquisto del Corriere da parte sua
o di un'ipotetica organizzazione, il problema è perché si è arrivati a questo
punto. A un punto tale che in una lettera al direttore di Repubblica, dopo
essersi rammaricato che De Benedetti non sia entrato in affari con lui a
causa del «massacro mediatico, e tutto politico, che investe immediatamente
chiunque osi entrare in rapporto con Silvio Berlusconi» (Berlusconi non dice
mai «con me», si chiama sempre Silvio Berlusconi, come se fosse un altro)
e dopo avere affermato che lui tale massacro lo soffre quotidianamente sulla
sua pelle da quando ha «osato togliere il potere a una sinistra illusa di
avere già vinto», Berlusconi così conclude: «Non vorrei, signor direttore,
che questa stessa sinistra e che molte persone che la pensano come Lei si
illudessero ancora una volta». Che sembrerebbe una frase sempliciotta, e
che invece è abbastanza complessa, perché è una sorta di messaggio in codice,
che tradotto ai profani suona: lasciamo perdere il Corriere, che di quello
mi occupo io; a voi di Repubblica stavolta è andata bene, ma vedremo alla
prossima, perché gli affari sono affari, e chi in Italia è in affari, prima
o poi, volente o nolente, gli affari li deve fare con Silvio Berlusconi,
visto che i miei soldi sono dappertutto.

Ma è opportuno ricordare, a questo punto, che quando la società civile italiana
(cioè quei cittadini che non credono alle televendite e ai telecontratti
berlusconiani) si accorse che Berlusconi stava instaurando in Italia un regime
totalizzante (non totalitario, totalizzante - cioè basato sul controllo di
tutto ciò che acquistiamo, che leggiamo, che vediamo e che sentiamo) e cominciò
a manifestare la sua forte preoccupazione (grandi scioperi sindacali, Palavobis,
girotondi, interventi di intellettuali sulla stampa ancora libera, eccetera),
dall'opposizione, in specie da quel pezzo dei Ds detti «riformisti» (che
non si capisce cosa mai debbano ancora riformare, essendo tutto già riformato
da tempo) e da coloro che si dicono progressisti ma chissà perché «sospettano»
delle socialdemocrazie scandinave come se fossero rivoluzionarie, si alzò
un severo monito, «Non si deve demonizzare l'avversario!». Cioè: i cittadini
che protestavano (peraltro civilissimamente) perché un presidente del consiglio
che è al contempo padrone di mezza Italia confezionava a raffica leggi ad
personam e licenziava giornalisti della televisione di Stato come se fossero
stallieri delle sue ville, per una certa opposizione (la stessa che precedentemente
con tale signore era entrata in colloqui istituzionali non andati poi a buon
fine) erano dei demonizzatori del povero Berlusconi. E intanto Berlusconi,
facendo gli affari suoi e le leggi sue, demonizzava a tutto vapore: tutti
comunisti, le toghe rosse, i magistrati mentalmente disturbati, la nostra
Costituzione «sovietica», il maggior sindacato italiano «mandante» di omicidi,
la commissione Telekom Serbia, e via demonizzando. Con tutti i suoi mazziatori
schierati nelle postazioni giornalistiche o televisive, non di rado coadiuvati
da qualche gentile rifondatrice del comunismo che infilava la cartuccera
nella mitraglia del cecchino (si veda il recente processo instaurato a Cofferati,
«reo» soprattutto di aver portato in piazza tre milioni di italiani in pieno
berlusconismo: una cosa che in Italia non si perdona a nessuno, né da destra
né da sinistra). Questa filantropica «comprensione» dell'avversario parve
strana a molti. Così come parve stranissimo che alcuni politici dell'opposizione
sembrassero punti da una serpe se qualcuno definiva «regime» il sistema di
Berlusconi (che con il sistema economico-mediatico di cui sopra ha ingabbiato
l'Italia in una camicia di Nesso che è una forma di regime). Alcuni personaggi
dell'opposizione reagivano alla parola come se si parlasse di loro o di un
parente stretto, tanto che veniva voglia di tranquillizzarli. E la creazione
da parte dello stesso partito di un giornale come Il Riformista (dal colore
di giornale economico) che facesse la guardia all'Unità allorché a Berlusconi
fa un'opposizione come si deve, cioè senza sconti e comprensioni, non è strana?
È stranissima. Attualmente il chiodo fisso del Riformista è Antonio Padellaro,
come lo è stato Furio Colombo, fino alle sue «dimissioni». Ma quelle «dimissioni»
non sono strane? Lo sono quanto e più di quelle di Ferruccio De Bortoli dal
Corriere della Sera. Viene spontaneo pensare che Berlusconi abbia la mano
lunga a destra, al centro e a sinistra. E l'elogio di Craxi fatto dal segretario
di un partito che dovrebbe rivendicare la questione morale, non è strano?
Non solo è strano, è inaccettabile, soprattutto se giustificato dalla curiosa
motivazione che Craxi appartiene alla storia di famiglia. Se fosse stato
detto: «purtroppo Craxi appartiene alla storia di questa famiglia», il discorso
cambiava, perché per le famiglie perbene esiste l'interdizione del parente
che ha buttato male. Il sistema politico di Craxi, fatto di corruzione e
di intrecci oscuri con la finanza, era un sistema marcio, ragioni per le
quali è morto in contumacia con una condanna sulle spalle. Accettarlo in
una famiglia come se il legame del sangue fosse più importante dei principi
morali, è un fatto strano.

Ma tutte le stranezze, tutte le anomalie, hanno una spiegazione, non sono
effetto di fenomeni paranormali. Lungi dal voler attribuire in anticipo qualsivoglia
colpevolezza a chicchessia, una cosa è certa: le recenti intercettazioni
telefoniche disposte dalla magistratura rivelano allarmanti intrecci fra
politica e finanza. Un mondo sottobanco (o sotto-banche) fluido, filamentoso,
multiforme e proteiforme, un alien i cui gangli vitali interagiscono e si
alimentano a vicenda: una vera «società multicolore». Sorpresa? Non troppo,
per chi ricorda quello che già è successo in Italia. Per chi ricorda Sindona,
Marcinkus, il Banco Ambrosiano, Calvi. Per chi ricorda il Caf. Per chi ricorda
i metodi del craxismo. Per chi ricorda Mani pulite (poi mozzate dalla classe
politica tutta).

Ma facciamo finta che l'Italia sia un paese normale. Facciamo finta che certi
accoppiamenti poco giudiziosi non siano mai avvenuti, che tutto si svolga
in una trasparenza almeno relativa, come si svolge nel resto dei paesi civili
europei o nelle temute socialdemocrazie scandinave. Facciamo finta che le
accuse di latinoamericanizzazione che giornali come l'Economist lanciano
all'Italia siano frutto di pura maldicenza, e spostiamoci davvero in America
Latina. El País del 13 agosto, nella sua rassegna stampa internazionale,
riporta questo testo apparso sul quotidiano peruviano La República, intitolato
Etica, corrupción y política e riferito al governo brasiliano. Traduco le
righe finali: «Costa fatica pensare che Lula non fosse al corrente della
corruzione. E gli stessi brasiliani sono rimasti di stucco allorché Lula
ha assicurato che non sapeva niente dei movimenti del suo compagno e intimo
amico José Dirceu. Le stesse persone che rivendicavano un esercizio etico
della politica hanno organizzato o tollerato la corruzione degli oppositori
con denaro di oscura provenienza. Ora che il vento della sinistra soffia
con forza in almeno sette paesi dell'America Latina, è urgente che i suoi
leader capiscano che la trasparenza è imprescindibile per chi aspira a essere
portavoce delle cause del popolo».

Io non so se sull'Italia soffia un vento di sinistra o di destra, e poco
importa in questo caso la direzione da cui proviene. So però che è un vento
bolso e sabbioso, uno scirocco malsano che abbatte e demoralizza tutti quei
cittadini (sono molti) che cominciano a sospettare che il simbolo che votano
sulla scheda elettorale non contenga ideali o progetti, ma mascheri delle
azioni bancarie (che ovviamente non hanno colore). Per quanto mi riguarda
l'appello per un codice etico che con altri ho indirizzato a Romano Prodi
concerne soprattutto questo punto. È vero che un codice etico non basta:
certe caratteristiche antropologiche di una classe politica non si cambiano
con un codice. Ma può essere un profilattico punto di partenza per evitare
brutte sorprese. Ma questo Prodi lo sa meglio di noi, perché sa che stavolta
deve evitare ad ogni costo brutte sorprese.







[1]
VEDI:
www.freeforumzone.com/viewmessaggi.aspx?f=71485&idd=61

In Inghilterra la "Commissione sugli standard di comportamento degli uomini
pubblici" (The Committee on Standards in Public Life) ha stabilito e pubblicato
"I SETTE PRINCIPI DELLA VITA PUBBLICA", che ritiene vadano rispettati da
tutti coloro che ricoprono una pubblica carica o sono impiegati nelle pubblica
amministrazione. Essi sono:

ASSENZA DI INTERESSE PRIVATO
I detentori di cariche pubbliche devono agire unicamente in funzione del
pubblico interesse. Non devono agire al fine di ottenere vantaggi finanziari,
o di altra natura, per se stessi, la loro famiglia o i loro amici.

INTEGRITA'
I detentori di cariche pubbliche non devono mettersi nella condizione di
essere debitori di alcunche', denaro o altro, nei confronti di soggetti od
organizzazioni esterne che potrebbero cercare di esercitare la loro influenza
nell'esplicazione delle attivita' inerenti alla carica.

OGGETTIVITA'
Nell'amministrazione degli affari pubblici, comprese le nomine, l'assegnazione
e la stipula di contratti, la segnalazione di soggetti degni di riconoscimenti
e benefici, i detentori di cariche pubbliche devono effettuare scelte in
base a criteri di merito.

RESPONSABILITA'
I detentori di cariche pubbliche sono responsabili delle loro decisioni e
azioni nei confronti degli altri cittadini, e hanno il dovere di sottoporsi
a qualunque valutazione in relazione alla carica ricoperta.

TRASPARENZA
I detentori di cariche pubbliche devono essere il piu' chiari possibile nelle
decisioni e negli atti che intendono intraprendere. Sono tenuti a fornire
le ragioni delle loro decisioni, e non devono limitare l'informazione se
non quando lo richieda con evidenza l'interesse pubblico.

ONESTA'
I detentori di cariche pubbliche hanno il dovere di dichiarare tutti gli
interessi privati che hanno qualche relazione con i loro pubblici doveri,
e di impegnarsi a risolvere qualsiasi conflitto di interessi possa derivarne,
in modo tale da proteggere il pubblico interesse.

LEADERSHIP
I detentori di cariche pubbliche sono tenuti a promuovere e sostenere i principi
esposti con la loro leadership e con l'esempio.

NB: I CONTENUTI DEL SITO POSSONO ESSERE PRELEVATI CITANDO L'AUTORE E LINKANDO
www.osservatoriosullalegalita.org

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